Giulio Regeni quale verità?

Il Caso Regeni: 
Tra verità nascoste e la
‘normalità’ della tortura…

Storia di una morte
violenta, al Cairo.

E’ passato più di un
anno dalla morte di
Guilio Regeni avvenuta in Egitto, all’ombra
delle
Piramidi e, in questo blog vogliamo ricostruire non tanto e non
solo, la
mancata verità che avvolge questo amaro e drammatico caso ma,
in realtà, forse, è utile ricostruire il
contesto, politico e storico e
sociale in cui matura prima la
scomparsa del giovane ricercatore
italiano
e poi, in un crescendo di violenze e torture, la morte
violenta.

Partiamo dall’inizio…

Cairo:

25 gennaio 2016, Egitto, Africa

Sono le 19.41 del
25 gennaio : è qui che ha inizio il calvario.

La scomparsa

Giulio Regeni, è un dottorando italiano dell’Università
di Cambridge
e scompare il 25 gennaio 2016 tra le 19.30 e
le 20.00. In questo lasso di tempo sparisce nel nulla, come inghiottito
dalla grande pancia del Cairo dopo essere uscito di casa per recarsi a
prendere la metro a Dokki che si trova, nella zona di Piazza
Tahrir,
aveva un appuntamento con un amico.

Il sequestro

La giornata del 25
gennaio, nella storia moderna del grande paese africano, l’Egitto,
ha acquisito un importanza fondamentale per la rinascita del popolo egiziano.
Quel giorno che segna la scomparsa nel nulla del giovane ricercatore
italiano,
si celebra il quinto anniversario delle proteste e
della rivoluzione di Piazza Tahrir seguita alle “Rivolte
arabe”
che attraverso le manifestazioni e le rivendicazioni intendevano
chiedere e pretendere, dalla classe dirigente che da sempre le amministrava, più
democrazia, libertà, diritti umani
e più lavoro per aprire una nuova
fase e una nuova stagione.

Il ritrovamento

Il corpo martoriato
e senza vita di Giulio Regeni viene ritrovato (per caso) da alcuni
passanti lungo la strada che collega Il Cairo ad Alessandria : è
il 3 febbraio 2016. Fin da subito, sono evidenti i segni della
tortura disumana subita dal ricercatore. In un primo gli egiziani
cercano di far passare questo assassinio come un semplice incidente
stradale. Come era prevedibile questa ‘lettura’ non regge l’urto delle
indagini.

Le torture

Non ci sono dubbi,
purtroppo non possono esserci, al di là di ogni ragionevole dubbio e, lo dice,
con chiarezza l’autopsia : il ricercatore italiano è stato brutalmente
torturato,
e le pratiche, sono andate avanti per giorni e condotte da più
persone. Il referto del professor Vittorio Fineschi parla di dodici
fratture,
segni di percosse, bruciature, tagli, colpi di bastone, accompagnate
da coltellate in tutto il corpo di Giulio Regeni.

I depistaggi, le indagini e le bugie

Le autorità egiziane
– come abbiamo già scritto – sostengono, in un primo momento l’assurda
pista dell’incidente. In questa fase, non esitano a gettare fango sulla
condotta morale di Giulio Regeni (e a ben vedere, questa è stata
un po’ una costante in questo doloroso anno in cui, è bene ribadirlo, la verità
per Giulio Regeni
è ancora lontana dall’essere accertata, scritta almeno
per quella parte di opinione pubblica che si accontenta delle cosiddette
“versioni ufficiali” che, non tengono conto minimamente di cosa si celi dietro
questa morte violenta, dietro questo omicidio di governo dittatoriale
che però chiama in causa, in modo diretto anche il suo omologo italiano n.d.t).
Le autorità del paese africano, hanno prima parlato di un assassinio legato
ad ambienti omosessuali (e nel momento in cui parlano in questo modo di Giulio
Regeni
smascherano, uno dei drammi che avvolgono l’Egitto precipitato
sotto la cappa asfissiante della dittatura militare che, non
rispetta niente e nessuno, figurarsi, i diritti dei gay, come per
altro avviene, in altre parti dell’Africa n.d.t). Ma non era questa la verità
sul Caso Regeni. Passa del tempo. A questo punto, qualcuno molto
vicino ai poteri d’influenza del potente “Generale-Presidente-Golpista”
al-Sisi
riceve l’ordine che, la morte violenta del ricercatore è
legata a questioni di droga. Ma anche questa si rivela falsa. Tuttavia,
al Cairo non demordono e naufragata una pista, ecco subito pronta
un’altra, ancora più ridicola di quella appena tramontata. Regeni, dicono,
le autorità egiziane è caduto vittima di una banda di rapinatori. E
intanto passano i mesi, lunghi e caratterizzati da un unico comune denominatore
: i depistaggi. Ma intanto la drammatica verità e realtà che
si cela dietro la morte violenta di Giulio Regeni è ormai
diventata di dominio pubblico – persino nella silente Italia – e, a
questo punto, dopo mesi, le autorità sono costrette ad ammettere che la
potente polizia di al-Sisi stava indagando su Giulio Regeni.

Fin qui le tappe di questa amara vicenda ma, ora, per inquadrare meglio quello che è accaduto dobbiamo addentrarci nel contesto, in cui matura prima la sparizione poi la morte violenta del ricercatore italiano.

Quella del contesto
è una delle voci decisive per inquadrare il dove, come e quando si arriva
poi alla scoperta del 3 febbraio 2016.

-Il contesto

Nell’Egitto tornato
saldamente nelle mani dei militari era (ed è) in atto una repressione
volta a colpire i ricercatori (come lo era Giulio …),
i giornalisti (per reprimere la libertà d’espressione e di
stampa …) e gli scrittori (che in quanto intellettuali sono
ritenuti dal regime, tra gli individui più pericolosi perché, capaci di orientare
l’opinione pubblica). 
In quei giorni (il picco) ma anche nei mesi seguenti, al-Sisi architettò una vera inquisizione: eccolo, dunque, il contesto in cui avviene, matura e si consuma l’omicidio di Governo di Giulio Regeni.

Solamente la miopia dei vari governi italiani (prima quello a guida Renzi e poi quello attuale a guida del suo omologo Paolo Gentiloni n.d.t) non sono in grado di vedere e valutare, anche se qui, entrano in ballo altre questioni che, certo, non fanno onore al governo di Roma.

Perché in Egitto avviene
tutto questo?

Riannodiamo il filo
che fa da sfondo agli eventi di tutta questa vicenda. Per farlo, tuttavia, è necessario addentrarci nella storia recente del grande paese africano.

Dopo la “Rivoluzione”
che aveva dato vita alle “Rivolte arabe” – meglio note in Occidente e qui, in Italia, con l’espressione giornalistica di “Primavere arabe”.

Bisogna partire da
qui : il lettore mi perdonerà se torno indietro, nel tempo, riportando le lancette dei vostri orologi, alle grandi giornate del 2011. L’anno
delle rivolte che sconvolsero il mondo arabo e impaurirono (e non poco) l’intero e civilizzato occidente. In Egitto, quelle erano le giornate dell’eccitazione che portarono alla cacciata del tiranno
Mubarak,
che aveva saldamente le redini del potere egiziano, praticamente
da sempre.

Il risultato di
quelle proteste e di quella sollevazione popolare favorì l’ascesa al potere governativo dei Fratelli Musulmani portando nella stanza
dei bottoni, il presidente Morsi (tuttavia con il sostegno del voto degli elettori egiziani n.d.t).

Non era esattamente
il tipo di risultato che si aspettavano le potenze occidentali, compresi
gli Stati Uniti. Anzi. I Fratelli Musulmani erano invisi
all’intero Occidente e, quindi, si preferì favorire un cruento colpo di stato  – come non se ne vedevano da molti anni nell’intera Africa – un Golpe vecchia maniera con tanto di ritorno dei militari al potere. La riprova che questa era la
soluzione giusta sta nel fatto che tra i primi ad omaggiare e a riconoscere la validità del nuovo governo golpista, è stata proprio l’Italia con
il governo Renzi, primo leader occidentale a omaggiarlo
addirittura, in pompa magna a Roma … forse perché, da sempre Roma è
una delle capitali che fa più affari con il paese africano … magari, certo, chiudendo un occhio sulla mancanza del riconoscimento dei diritti
umani.

Si decise di
togliere di mezzo i Fratelli Musulmani, sostanzialmente per far naufragare (prima che fosse troppo tardi) le aspettative della Rivoluzione divampata due anni prima, in Tunisia e che dall’Africa e, soprattutto da Piazza Tahrir dove, l’Egitto e i giovani, insieme agli attivisti
avevano osato chiedere e pretendere, a gran voce (tanto da essere arrivata anche alle violente dittature delle monarchie del Golfo e mediorientali n.d.t), più democrazia, libertà, il rispetto
dei diritti umani e più lavoro : guarda caso tutte quelle cose
che ora, il nuovo presidente statunitense Trump, sei anni dopo, sta mettendo in discussione e sotto attacco, addirittura, nel cuore dell’Impero occidentale, gli Stati Uniti.

Quella Rivoluzione
fece paura all’occidente ma anche allo stesso Continente nero, in quell’Africa che, dopo oltre 40 anni tornava a rialzare la testa, dopo le grandi rivoluzioni degli anni Sessanta e Settanta del Novecento capaci di portare fino all’Indipendenza do
molti stati africani.

-La voce degli intellettuali e attivisti egiziani…

 Una volta ripreso il potere dopo il colpo di stato del 3 luglio 2013, il Generale al-Sisi ha impresso una svolta drammatica, costringendo la società civile egiziana, a convivere con la paura e lo “Stato di Polizia”. Di questo parere è anche lo scrittore egiziano Ala Al-Aswani, conosciuto e seguito anche in Italia : ecco la sua denuncia che aiuta meglio a inquadrare il contesto in cui Giulio Regeni, ha svolto il suo importante lavoro di ricercatore.

L’Egitto ormai è uno stato di Polizia.
Viviamo nella tensione da mesi. Qui il livello di repressione è altissimo, più
che ai tempi di Mubarak. All’epoca almeno si era liberi di dissentire. Oggi c’è
più censura, ci sono più arresti politici, c’è gente che scompare. E’ c’è gente
anche che muore in maniera misteriosa”.

Ecco un’altra dura
realtà: nell’Egitto tornato sotto la cappa opprimente della dittatura dei generali, si torna a parlare degli “scomparsi”, dei desaparecidos, triste retaggio delle cruenti dittature latinoamericane del
ventennio che va dagli anni Sessanta agli anni Ottanta del
cosiddetto “secolo breve”.

Al Cairo, la
grande capitale egiziana, si contano un numero imprecisato di desaparecidos
– che tuttavia gli attivisti egiziani denunciano essere già migliaia
– come accadeva nello scorso secolo in Argentina e in Cile e,
nel resto del Sudamerica – e basta questo dato seppure parziale, a
descrivere, in quale difficile contesto si trovava a operare e a lavorare Giulio Regeni, che, comunque, è opportuno sottolinearlo, non era certo uno sprovveduto né un individuo in cerca di avventura. Al contrario, si muoveva e lavorava da accademico, altrimenti, non avrebbe mai potuto rappresentare una delle Università più prestigiose quale quella di Cambridge.

Qui in Africa, militari alle dipendenze del “Generale-Presidente-Golpista” – che
tanto piace all’Italia e all’occidente in generale … al-Sisi da scaltro “uomo di potere” è stato abile ad accreditarsi agli occhi degli occidentali, in nome della comune lotta contro il terrorismo di matrice jihadista
ossia, ha speso il buon nome dell’Egitto garantendo un aiuto decisivo nello sconfiggere Daesh pur guardandosi bene, dal confessare le sue mire sulla Libia che sogna di annettersi in parte, ossia quella confinante con il grande paese africano per dare vita, al sogno del “Grande Egitto” – agiscono indisturbati : i desaparecidos non sono registrati in nessuna centrale di polizia e riappaiono (se lo fanno … e se hanno la fortuna di riuscire) solo settimane dopo con evidenti segni di tortura e “profondamente cambiati”.

Queste drammatiche
denunce sono state rilasciate, sotto forma di racconto-testimonianze dai
familiari delle vittime al quotidiano statunitense New York Times.

Perché è morto Giulio
Regeni
?

Alla luce di quanto abbiamo ricostruito fino a questo momento, in questa amara vicenda, possiamo avere una certezza : il ricercatore italiano è morto, più di un anno fa, al Cairo, in Egitto, in Africa, a causa del suo lavoro.

Al Cairo, Regeni stava
lavorando su un tema molto sensibile per le autorità egiziane

Sindacato e diritti del lavoro.

Due argomenti invisi alla dittatura militare. Nell’Egitto di al-Sisi
vengono sistematicamente calpestati i diritti umani e, le voci degli attivisti (inascoltate qui in occidente …) sono urlanti e disperate. Ne cito qualcuna tanto per far capire al lettore quale sia stato il contesto in cui è maturata la morte violenta e sotto tortura di Giulio Regeni.

Il difensore dei diritti
umani Gamel Eid, avvocato
per l’Arabil network for human rights informations, insieme ad altri come, sottolinea anche lo scrittore
Al-Aswani
denunciano : 

“La situazione
in Egitto è senza precedenti, molto peggiorata dall’era di Mubarak”
e conclude “La repressione contro intellettuali, i ricercatori, scrittori, sta diventando inquisizione pura e semplice”.

E’ la stessa storia
che conduce alla morte violenta di Giulio Regeni che attraverso il suo lavoro, aveva scoperto verità che il governo-golpista del Generale al-Sisi non voleva che diventasse di dominio pubblico in Europa e
nel resto del mondo.

 

-Il Diario di Giulio Regeni

 Nelle varie e tribolate fasi dell’inchiesta giudiziaria sul Caso Regeni sono venute fuori alcune novità che altro non fanno che confermare che l’assassinio di Giulio Regeni è stato deciso, pianificato e ordinato molto in alto nella gerarchia del Regime di al-Sisi. A ridosso del primo anniversario della scomparsa del ricercatore italiano, è arrivata la conferma che, Giulio, in Egitto annotava tutti gli sviluppi del suo lavoro, in un diario. Si tratta di un documento fondamentale per capire l’importante ricerca ce stava effettuando prima di morire.

Il documento è
scritto in un ottimo inglese ed è costituito da 10 report : ci
sono sensazioni, perplessità, aspetti umani, professionali su persone e luoghi nell’ambito della ricerca che stava svolgendo in Egitto, già
ripiombato nella spirale della dittatura militare guidata da al-Sisi.

Giulio Regeni, focalizza le sue attenzioni su una decina di
ambulanti : studiando e interessandosi alle loro condizioni sociali,
economiche
e sindacali. Incontra e osserva questi umili lavoratori in diversi mercati del Cairo, perché anche qui, in Egitto come, nel resto dell’Africa, sono proprio i mercati, lo specchio
veritiero delle condizioni di vita se, l’obiettivo di chi osserva, ha come fine
ultimo di comprendere il complesso andamento della società e, l’Egitto, non fa differenza da altre realtà del Continente nero seppure, qui,
al Cairo, ci si trova in una delle metropoli più grande
dell’intera Africa.

-Il dialogo tra Abdallah e Giulio

Il video che è stato
diffuso dalle autorità egiziane sono la prova diretta di una trappola : Mohammed Abdallah che riprende (con una microcamera che poteva essere in dotazione solo a professionisti delle forze dell’ordine del paese africano e, infatti, fu fornita da un capitano della National security agency egiziana, una
struttura che dipende direttamente al potente ministro dell’Interno Ghaffar,
ma anche così, non poteva che agire su un ordine preciso e, quell’ordine, poteva arrivare solo da al-Sisi n.d.t) Giulio Regeni con l’unico
scopo di incastrarlo, per farlo passare come una spia o finanziatore dei sindacati, in chiave anti-governativa.

Ma l’obiettivo
fallisce miseramente : Giulio Regeni è una persona perbene, abituato, a non far ricorso al denaro degli altri.

Ecco alcuni passi
del dialogo :

    Abdallah : 

    “Il giorno 5 mia moglie ha un intervento per
un cancro e io devo cercare denaro, non importa dove …

          Giulio : 

     Ma questi soldi non sono miei. Non li posso usare come voglio. Non posso segnare che li ho usati per fini personali…

    Abdallah : 

     Non c’è un canale alternativo per utilizzare
il denaro a titolo personale?
  

     Giulio

     Giuro che non lo so, perché questi soldi non sono legati a me. Dalla
Gran Bretagna al Centro egiziano e dal Centro egiziano alla banca…


Abdallah : 

     Che tipo di informazioni ti servono per il
progetto? Così comincio a lavorarci da subito…

    Giulio : 

     Qual è la cosa più importante per te per
quanto riguarda il sindacato e quali sono i bisogni del sindacato…

 

-La drammatica denuncia dell’attivista egiziana Mona Saif.

L’ultimo tassello che ci aiuta nella ricostruzione delle condizioni disumane in cui è costretto a vivere il popolo egiziano arrivano dall’esperienza diretta di una delle donne-attiviste più impegnate dell’intero Egitto.

La prima cosa che
racconta è anche la più inquietante, secondo Mona Saif, la polizia
egiziana non è più controllabile.


“La Polizia è fuori controllo”


dice la fondatrice della campagna 

“No ai processi militari ai civili“.

Per quanto concerne il Caso Regeni, ha le idee chiarissime di chi sa come vanno le cose nel grande paese africano, al
tempo della dittatura al-Sisi.

“Quanto è successo va cercato tra i crimini
del Regime di al-Sisi”.

Perché bisogna
muoversi in questa direzione per risalire agli assassini del ricercatore
italiano
?

Lo spiega in poche
parole Mona Saif.


“L’obiettivo è colpire chi mobilita le
proteste. Lo scopo è zittire chiunque faccia un lavoro dal basso. Questo
include islamisti e socialisti”.


In conclusione, l’attivista,
torna a parlare della Polizia.

“La Polizia è fuori dal
controllo dello Stato. Ormai i poliziotti devono ricevere ordini speciali
perché non ci siano torture”.

Le ultime
drammatiche parole, sono il viatico migliore per capire il perché Giulio Regeni è diventato “Uno di noi”, come
hanno sempre ribadito, in questi lunghi 365 giorni “Senza Giulio” e,
lo hanno fatto, detto e pensato i parenti delle vittime, i familiari, le madri
degli attivisti “spariti”, desaparecidos, sindacalisti che si battono contro la repressione da “Stato di Polizia”, l’unica soluzione che può servire al “Generale-Presidente-Golpista” al-Sisi, l’unica certezza che possa garantirgli di restare al potere, mentre, il popolo egiziano
soffoca, sparisce e muore. Proprio come è accaduto a Giulio Regeni.

Come può, il governo
italiano non pretendere che venga fatta giustizia per Giulio
Regeni 
e, quindi, ristabilire la
Verità?

Non potrà mai farlo finché, questo paese, l’Italia non è in grado di riconoscere il reato di tortura che garantisca, allo stesso tempo i cittadini ma anche gli agenti, in modo che qualsiasi abuso di potere, non passi mai più impunito : ma fino a quel giorno, non ci sarà nessuna giustizia e verità per Giulio Regeni : si spiegano anche così, i continui depistaggi che al-Sisi ha potuto mettere in atto perché, l’Italia, non poteva (e non può) fare la voce grossa sulla pratica delle tortura di Stato.

Ma senza verità
non ci può essere nessuna pace,
recitava uno dei tanti striscioni che hanno
tappezzato i muri delle città italiane e le fiaccolate che in
occasione dell’anniversario si sono svolte da Nord a Sud perché, Giulio Regeni merita che la verità venga finalmente fuori e, a trionfare, non
sia
la ‘normalità della tortura’.

Dedico questo mio articolo alla famiglia e a tutti gli amici di Giulio Regeni.

(Fonte.:ansa;nytimes;anhri;ahram;wilsoncenter;aljazeera;repubblica;amnesty)

Scritto da Bob Fabiani

Link

www.ansa.it;

www.nytimes.com;

anhri.com;

emglish.ahram.org.eg;

www.wilsoncenter.org;

www.aljazeera.com

www.repubblica.it;

www.amnesty.it

* Sullo stesso
argomento vi rimando a : bobfabiani.blogspot.com

-Altrainformazione/Africaland/Egitto/Giulio-Regeni;

-Altrainformazione/Appelli
e Diritti Umani/Regeni;

-Altrainformazione/Libera-informazione/Regeni

-Altrainformazione/Appelli
e Diritti Umani/mona-saif-appello-dopo-morte-violenta-giulio-regeni


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